Fermata #187 - Bitcoin non ha colori
La corsa alle presidenziali americane sta vedendo Bitcoin tirato per la giacchetta da Kennedy Jr e, soprattutto, da Trump, la cui volata è tirata da Bitcoin Magazine.
L'apoliticità non esiste. Tutto è politica.
Quando lo scrittore tedesco Thomas Mann scriveva queste parole non si riferiva di certo a Bitcoin. Eppure la citazione è estremamente attuale anche nella nostra nicchia, se così ha più senso definirla. Se un tema entra a gamba tesa nel dibattito elettorale della più grande potenza mondiale, gli Stati Uniti, può essere etichettato come “di nicchia”? La risposta la lascio a voi lettori.
In ogni caso, Mann aveva ragione proprio dal punto di vista letterale. Il termine “politica” è definito come il complesso delle attività che si riferiscono alla ‘vita pubblica’ e agli ‘affari pubblici’ di una determinata comunità. Dunque, davvero tutto è politica. Anche Bitcoin.
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Bitcoin è l’espressione della prevalenza dei valori della proprietà privata e della libertà individuale su tutti gli altri. Il resto viene derivato dalla sola logica.
Ma nel dibattito politico c’è qualcosa che Bitcoin non è.
Bitcoin non è un partito. Bitcoin non siede nell’emiciclo di un Parlamento, non è di destra, non è di centro e non è di sinistra. Ci sono schieramenti che condividono alcuni valori e ne esprimono altri diametralmente opposti. In buona sostanza, Bitcoin non ha colori.
Sfortunatamente c’è chi continua ad associare colori politici a qualunque cosa: i media. Oggi persino le notizie di cronaca vengono riportate con sfumature diverse a seconda dell’area politica di appartenenza della testata. E più la testata è rilevante, più il fatto risulta evidente.
Alcuni speravano, forse si illudevano, che gli organi di informazione gravitanti intorno all’industria di Bitcoin potessero rispondere a dinamiche differenti. Che rispondessero alla rigorosa logica che regola il funzionamento di Bitcoin e la sua teoria dei giochi. Finora, però, così non è stato.
Anche la media company di riferimento, dopo essere diventata sufficientemente grande, ha iniziato a mostrare le prime crepe nella sua linea editoriale, per poi immergersi definitivamente nelle logiche di interesse politico in cui nuotano da decenni anche i grandi giornali tradizionali.
Dapprima l’endorsment senza vergogna a tutto il mondo NFT su Bitcoin, con approfondimenti ed eventi legati agli Ordinals per legittimare le aste che vendevano spam on-chain e facendo guadagnare profumatamente BTC Inc., l’azienda dietro a Bitcoin Magazine. Poi l’accostamento di Bitcoin alla prima figura politica disposta a parlarne positivamente per due voti in più.
Oggi Trump, la cui volata è tirata proprio da Bitcoin Magazine, sembra amare follemente Bitcoin, tanto che Milano Finanza lo definisce “ultrà del Bitcoin”. Ma pensate sia stato il primo? Niente affatto. Prima di lui è stato il turno, un anno fa, dell’allora candidato alle primarie democratiche Robert F. Kennedy Jr, come analizzato nella fermata #112.
Pensate che il co-fondatore di Heal-the-Divide, la campagna elettorale di Kennedy, è stato David Bailey, Ceo di BTC Inc. Ed era lo stesso Bailey, sempre un anno fa, a twittare sentenze quali: “Robert F. Kennedy è la candidatura di Bitcoin”.
Poi però ci si è accorti che Kennedy non sarebbe andato da nessuna parte alle elezioni. Soprattutto quando si è ritirato delle primarie democratiche per correre come candidato indipendente alle presidenziali del prossimo novembre. Nessuna possibilità di vittoria e campagna elettorale completamente inutile.
Il lobbying di Btc Inc. è stato quindi re-indirizzato verso il candidato favorito per la vittoria finale: Donald Trump. Il risultato è arrivato molto presto. Non che fosse complicato: la strenua opposizione a Bitcoin e al mondo delle criptovalute della senatrice democratica Elizabeth Warren, così come l’ostracismo della Sec durante il governo Biden hanno offerto ai repubblicani terreno fertile per raccogliere i consensi degli elettori interessati positivamente da questo settore.
Poco importa se Trump nel 2019 scriveva: “Non sono un fan del Bitcoin e delle altre criptovalute, che non sono denaro e il cui valore è altamente volatile e basato sul nulla. I crypto asset non regolamentati possono facilitare comportamenti illegali, incluso il traffico di droga e altre attività illegali”.
Tutto questo non importa. La gente dimentica e quindi vale la pena prendere quei consensi vacanti.
Colloqui con i rappresentanti dell’industria negli Stati Uniti, cene con i proprietari delle principali mining farm e il gioco è fatto: Donald Trump finge ora di essere un sostenitore di Bitcoin per raccogliere i voti dei bitcoiner, in parte anche a causa del lavoro di lobbying di Btc Inc., i cui articoli vengono ripostati dal leader dei Repubblicani stesso.
Sul suo social media, Truth, l’ex presidente degli Usa ha scritto recentemente: “Il mining di Bitcoin potrebbe essere la nostra ultima linea di difesa contro una CBDC. L'odio di Biden per Bitcoin aiuta solo la Cina, la Russia e la sinistra radicale comunista.” Senza contare le parole al miele nei confronti di Bitcoin pronunciate alla convention del partito liberario.
Il gioco è fatto. Kennedy è finito nel dimenticatoio e ora Donald Trump è il vero candidato Bitcoin. David Bailey ha persino dichiarato di voler convincere l’industria Bitcoin a raccogliere oltre $100 milioni per finanziarne la campagna elettorale e Bitcoin Magazine ospiterà Trump alla conferenza che organizza ogni anno negli Stati Uniti, a Nashville tra pochi giorni.
Il risultato? Oggi negli Stati Uniti l’immagine di Bitcoin è associata al parrucchino giallo di The Donald. E questo non cambierà, qualunque cosa Trump farà: nemmeno se, come rivelato da Forbes, in caso di vittoria delle elezioni dovesse nominare Segretario del Tesoro l’attuale Ceo di JP Morgan, Jamie Dimon.
No, non avete letto male. Proprio lui, uno dei più aspri critici e acerrimi nemici di Bitcoin fin dai primissimi anni. Anche dopo l’approvazione degli ETF su Bitcoin a Wall Street, Dimon ha continuato a definire Bitcoin una “frode” e uno “schema Ponzi”. Ha detto in aprile che se fosse stato al governo avrebbe “chiuso tutto”. Senza dimenticare che l’anno scorso si chiedeva in diretta su CNBC durante il Wef di Davos se Satoshi Nakamoto, in caso di riapparizione, avesse potuto cambiare il codice di Bitcoin e aumentare l’emissione della valuta, rendendo vana la narrativa dell’oro digitale, rendendosi ridicolo di fronte al mondo intero.
Ma di nuovo, niente paura. Il vostro amato Donald ha detto recentemente che Dimon “ha cambiato idea”. Tanto vale crederci, no? I politici non mentono mai.
E anche se lo facessero, la gente ama dimenticare.