Fermata #112 - USA: la propaganda pro-Bitcoin di Kennedy Jr.
Il nipote dell'ex presidente degli USA, candidato alle primarie democratiche per le elezioni del prossimo anno, lancia dichiarazioni d'amore a Bitcoin per attrarne i sostenitori: perché sono irreali
Legare il dollaro a bitcoin, come con l’oro durante il gold standard, ed eliminare l’imposta sulle plusvalenze derivanti da bitcoin.
E’ la recente proposta di Robert F. Kennedy Jr. - nipote dell’ex presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy - che sta facendo campagna elettorale per candidarsi alle primarie dei democratici in vista delle elezioni presidenziali previste per novembre 2024.
Seppur le possibilità che prevalga su potenziali candidati come Joe Biden, Barak Obama, Hillary Clinton o Bill de Blasio siano molto vicine allo zero, vale la pena analizzare le proposte di Kennedy, in particolare la prima.
Nella ricerca di nicchie disposte a seguire le sue proposte, il nipote di JFK ha trovato in Bitcoin un tema vincente. Accetta donazioni in bitcoin e le sue dichiarazioni, già molteplici, in favore della tecnologia scoperta da Satoshi Nakamoto, hanno colpito molti bitcoiner che su Twitter si espongo già come sostenitori del candidato democratico. Uno su tutti, il fondatore ed ex Ceo della stessa piattaforma, Jack Dorsey, che ora si dedica full-time a Bitcoin.
Kennedy è stato anche protagonista dell’ultima Bitcoin Conference di Miami, nel maggio di quest’anno, in cui ha spiegato di aver compreso appieno il potenziale di Bitcoin quando ha visto il governo canadese bloccare i conti bancari di chi donava ai camionisti in protesta durante il lockdown.
Lo spazio concesso dagli organizzatori della conferenza - BTC Media, società editrice di Bitcoin Magazine - a un candidato di così poco respiro è stato sorprendente, per quanto un candidato alla presidenza degli USA pro-Bitcoin sia, effettivamente, una notizia. Insomma, Kennedy ha trovato un pubblico a cui parlare e in tanti si sono velocemente affezionati alla sua causa.
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E’ un vero peccato. Perché il grande sostegno mostrato sui social da tanti bitcoiner è la prova che uno dei principi alla base di Bitcoin - quello del “Don’t trust, verify” - viene applicato solo raramente.
Scoprire, per esempio, che la stessa BTC Media sia dietro alla campagna elettorale di Kennedy, inizia a far capire come mai Bitcoin Magazine stia dando così tanta visibilità a un candidato del tutto irrilevante e le cui preferenze non andranno oltre lo zero virgola. Il co-fondatore di Heal-the-Divide - titolo della campagna elettorale di Kennedy - è David Bailey, Ceo di BTC Media1.
E dal suo profilo Twitter il fatto è piuttosto evidente: recentemente ha scritto “Robert F. Kennedy è la candidatura di Bitcoin”.
Ma il crollo della credibilità di Bitcoin Magazine, guidato dai suoi interessi economici e politici, è solo la punta dell’iceberg. Passi anche l’ignorare che Kennedy sia a favore di spesa pubblica, interventismo economico e contro il nucleare, tutti fattori profondamente antitetici alle radici di Bitcoin.
Ciò che smaschera l’ingenuità di parte della comunità è il sostegno alla proposta del candidato di garantire il valore del dollaro tramite riserve in bitcoin.
La proposta irrealizzabile
Lo scorso 19 luglio, intervenendo a un evento del Political Action Committee della sua campagna Heal-the-Divide, Kennedy ha dichiarato che nel suo programma politico c’è l’intenzione di sostenere dollaro e Treasuries USA (i titoli di debito americani) con asset la cui natura è limitata: oro, argento, platino e Bitcoin. L’idea sarebbe quella di iniziare in modo cauto, sostenendo l'1% dei buoni del tesoro con una combinazione di questi asset, per poi aumentare la percentuale gradualmente.
La dichiarazione, spinta soprattutto da Bitcoin Magazine, ha fatto scalpore. In linea teorica si tratterebbe di un primo esperimento, dopo lo sgancio del dollaro dall’oro del 1971, di ritorno a una moneta più equa. Peccato che questa visione manchi di contatto con la realtà.
Se non fosse necessario generare nuovo credito ogni anno per permettere ai governi di pagare debiti e interessi sui debiti passati, l’idea potrebbe avere un senso. In poche parole, se il modello di businesss dello Stato moderno fosse efficace, una moneta meno inflazionabile sarebbe più che sostenibile.
Il punto è che non è questo il caso. I bilanci pubblici sono insolventi da decenni e ogni anno i governi devono ricorrere al cosiddetto “deficit”: una parola volutamente complicata per non far capire che si tratta di prestiti costituiti spesso da soldi creati dal nulla da parte delle banche centrali. In pratica, la sussistenza stessa della struttura statale dipende dalla capacità di creare nuovo credito, dunque nuova moneta, ogni anno. Gli Stati Uniti non fanno eccezione: il loro debito pubblico è cresciuto dal 34,5% del Pil nel 1971 all’attuale 118,6%.
Il legame con l’emissione di nuova valuta è mostrato dall’andamento della massa monetaria (M2), in costante aumento da vari decenni: se nel 1980 circolavano meno di $ 2.000 miliardi, oggi circolano $ 20.000 miliardi.
Questo porta a capire che se l’emissione di nuovo credito fosse frenata dalla necessità di acquistare bitcoin o materie prime scarse - come accadeva con l’oro durante il gold standard - i conti pubblici andrebbero in fortissima difficoltà. Se la copertura fosse del 100%, con il corrispettivo in bitcoin da acquistare per ogni dollaro di credito emesso, le casse pubbliche andrebbero in default nel giro di poche settimane.
L’idea di sostenere il valore del dollaro con bitcoin gradualmente significa guidare i conti pubblici lentamente verso la bancarotta. E per quanto il crollo del sistema statale potrebbe essere una notizia positiva per le libertà individuali, la domanda da farsi resta una: siamo proprio sicuri che un presidente, dunque un dipendente del governo, voglia far fallire l’istituzione che gli paga lo stipendio?
Amici bitcoiner: almeno voi non fidatevi a occhi chiusi delle dichiarazioni dei politici, verificate.