Africa, Stati Uniti e Cambridge: le novità sul mining
Il continente africano ha tutte le potenzialità per diventare il leader mondiale del mining. Le sconfinate risorse energetiche di cui dispone vengono sfruttate da secoli dalle economie sviluppate, ma Bitcoin potrebbe spostare gli incentivi a favore degli abitanti locali. La diffusione delle minigrid (approfondite in seguito, nda) può offrire accesso all’energia elettrica a larghe fasce della popolazione che abitano in aree remote, ma la loro costruzione incontra forti ostacoli di sostenibilità economica: qui entra in gioco Bitcoin.
Negli Stati Uniti il Massachusetts Institute of Technology (Mit) fa dietrofront sul mining e ammette che può avere anche dei benefici per l’ambiente: mitigazione del gas flaring, stabilizzazione delle reti elettriche, espansione delle reti alimentate da fonti rinnovabili ed economie circolari che riutilizzano il calore in eccesso degli ASIC. A Washington, poi, è stato formato il Digital Power Network: un nutrito consorzio di miner statunitensi che ha l’obiettivo di promuovere il mining di Bitcoin come catalizzatore per gli investimenti nelle energie rinnovabili e nella stabilità della rete elettrica.
Il Cambridge Centre for Alternative Finance (CCAF) - autore del più volte citato Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index (CBECI) - fa mea culpa e riconosce la necessità di rivedere le stime sulle emissioni legate alla generazione di energia elettrica per il mining di Bitcoin.
Daniel Batten, il ricercatore ambientalista che con il suo modello ha da tempo superato quelli di Cambridge, aggiorna numeri e stime.
Africa: un potenziale da $127 miliardi
Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA) 600 milioni di persone, pari al 43% dell’intera popolazione africana, sono privi di accesso all’energia elettrica. Gran parte vive nell’africa Subsahariana.
A evidenziare il problema è la Green Africa Mining Alliance (Gama), che in un paper intitolato Energy & Bitcoin in Africa analizza la possibile soluzione.
Il problema: squilibrio tra domanda e offerta
Il problema del limitato accesso all'elettricità in Africa, spiega Gama, può essere inquadrato come uno squilibrio tra offerta e domanda. In regioni isolate ed economicamente svantaggiate dove gli elettrodomestici e le attrezzature industriali sono scarsi, la domanda di elettricità è insufficiente a giustificare gli ingenti investimenti di capitale necessari per la costruzione di impianti di generazione elettrica.
Minigrid e sostenibilità economica
La soluzione più promettente finora è stata l'implementazione delle cosiddette minigrid, piccoli impianti in grado di generare tipicamente meno di 1 MW. Le minigrid hanno costi molto più bassi rispetto alle grandi centrali elettriche costruite nei pressi delle città, possono essere localizzate in posti remoti e servire i villaggi limitrofi sfruttando le sovrabbondanti risorse idriche, solari ed eoliche dell’Africa Subsahariana.
Esiste un problema, tuttavia, anche per le minigrid. Secondo il Global Mini-grids Market Report, vengono percepite come imprese ad alto rischio che non soddisfano le aspettative di rendimento degli investitori commerciali. Il motivo è presto detto: le fonti rinnovabili sfruttate sono per loro natura intermittenti e non garantiscono un flusso di elettricità costante; inoltre i costi di bilanciamento della rete potrebbero non essere coperti dalla lieve domanda di elettricità tipica di piccoli villaggi in aree remote.
In poche parole, le minigrid offrono un basso ritorno sull'investimento e sono finanziariamente rischiose a causa dei bassi tassi di consumo iniziali e dei lunghi periodi di ammortamento.
Il ruolo del mining
Il mining può essere la soluzione. Costruire piccole mining farm nei pressi delle minigrid consentirebbe di sfruttare l’energia generata nei momenti di picco dell’offerta monetizzando elettricità che verrebbe altrimenti sprecata e aumentando così la redditività delle minigrid. Quando arrivano i picchi di domanda, la potenza degli ASIC può essere modulata al ribasso per garantire la fornitura elettrica al villaggio.
Questo approccio può interrompere il circolo vizioso di bassa domanda di energia che porta a un'offerta insufficiente di energia, che a sua volta alimenta la bassa domanda.
In breve, il mining può rendere più profittevoli le minigrid, attirando più investimenti e migliorando l’accesso al credito per la costruzione di impianti energetici nelle aree più remote. Un allineamento di incentivi che punta a eliminare la dipendenza da filantropia, aiuti esteri o sovvenzioni governative dal continente africano.
Secondo il programma Esmap della Banca Mondiale, per far raggiungere dall’elettricità tra i 288 milioni di persone e i 490 milioni di persone servirà costruire tra le 162.000 e le 217.000 minigrid, con un costo complessivo compreso tra i 93 e i 127 miliardi di dollari.
Stati Uniti: dall’Mit a Washington
L’Mit ammette i benefici del mining
Lo scorso giugno il Massachusetts Institute of Technology ha pubblicato un documento intitolato Climate Impacts of Bitcoin Mining in the U.S. L’Mit - che in passato si è distinto per pubblicazioni fortemente critiche nei confronti del mining - per la prima volta dedica un intero capitolo di un proprio paper ai vantaggi climatici di Bitcoin.
Nel documento viene riconosciuto il ruolo chiave che ha avuto il mining sulla rete elettrica texana (ERCOT) durante la tempesta Elliot nel dicembre 2022. L’accordo che ha reso possibile la collaborazione, definito nei termini del programma Responsive Reserve Service, è descritto nei dettagli nella fermata #91.
Vale la pena riconoscere - si legge - che una domanda più elevata e più stabile di elettricità proveniente da fonti rinnovabili può sostenere la sua espansione, facendo scendere i costi di produzione grazie alle economie di scala. Di conseguenza, il mining di Bitcoin può fungere da catalizzatore per gli investimenti nelle infrastrutture rinnovabili.
L’Mit scrive anche che “i miner di Bitcoin potrebbero avere un incentivo finanziario a catturare e riutilizzare il calore di scarto, riducendo così il consumo energetico altrove. Il riutilizzo suggerito comprende numerose applicazioni, tra cui le serre, gli edifici residenziali, i sistemi idrici, le piscine, l'essiccazione degli alimenti e del legno e le distillerie di alcolici”.
Insomma: stabilizzazione delle reti elettriche, incentivo all’investimento in impianti alimentati da fonti rinnovabili e motore per l’economica circolare.
Nasce il Digital Power Network
La Chamber of Digital Commerce, un’organizzazione per per la promozione e la diffusione di digital asset, ha svelato un progetto chiamato Digital Power Network.
Si tratta di un consorzio che riunisce gran parte delle principali aziende di mining statunitensi - tra cui Riot, Marathon, Hive, Argo e Bitfarms - arrivando a rappresentare il 50% dell’hash rate di Bitcoin negli Usa. L’obiettivo è quello di formare una voce autorevole con cui influenzare le politiche energetiche di Washington. Si tratta, a tutti gli effetti, di un gruppo di lobbying.
In una mossa più simbolica che concreta, il Digital Power Network ha contribuito a esporre il primo documento favorevole alla Proof-of-Work presso la Camera dei Rappresentanti americana.
Il mea culpa di Cambridge e i nuovi dati sulle emissioni
Il Cambridge Centre for Alternative Finance (CCAF) ha deciso di cambiare la metodologia con cui calcolare i dati del Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index. Questo indice è stato il riferimento per i principali giornali mondiali quando si parla di rapporto tra Bitcoin ed energia: è quello che ha fornito le comparazioni con gli Stati. "Bitcoin consuma come l’Argentina, la Norvegia, l’Olanda, la Grecia, lo Sri Lanka”. Mezzo mondo è stato messo a confronto con il mining e i più importanti media hanno rilanciato tali dati, più che rivedibili.
Scusate, ci siamo sbagliati. Cambridge non lo ammette apertamente ma lo fa intendere. Nel paper intitolato Il consumo di elettricità di Bitcoin: una valutazione migliorata, si legge:
Sebbene il consumo di elettricità sia fondamentale per comprendere l’impatto sull’ambiente di Bitcoin, è solo uno degli elementi. Per sviluppare una comprensione più completa, dobbiamo determinare come viene generata l'elettricità consumata.
Non mi spingerò a sottolineare che l’affermazione è talmente banale da essere stata evidenziata - quasi ironicamente - nella fermata #1 di questa newsletter. Non lo farò.
I dati aggiornati, tuttavia, non possono ancora considerarsi accurati come quelli del BEEST (Bitcoin Energy & Emission Sustainability Tracker), modello sviluppato dell’ambientalista e ricercatore Daniel Batten, più volte citato in questa newsletter come fonte principale.
Come ammesso dallo stesso indice, i calcoli di Cambridge non prendono in considerazione il mining off-grid - quello effettuato con generatori privati o tramite accordi specifici con i fornitori di elettricità - e sono basati su un campione estratto dalle mining pool che rappresenta meno della metà dell’hash rate totale. Inoltre l’indice non tiene in considerazione il mining effettuato tramite la rete texana ERCOT. Come sottolinea lo stesso Batten, il mining off-grid e quello della rete ERCOT raccolgono insieme il 52% dell’intero network e impiegano fonti rinnovabili per il 64,7% del loro fabbisogno.
I nuovi dati
Secondo il BEEST le emissioni legate alla produzione di elettricità per il mining di Bitcoin stanno calando mentre l’hash rate globale sta aumentando.
I motivi? Maggior efficienza dei nuovi modelli di ASIC e incremento delle fonti rinnovabili. A giugno 2023 le emissioni calcolate ammontano a 34 Mt di CO2e all'anno. In contrasto, le emissioni stimate da Cambridge per la stessa data ammontano a 70,2 Mt CO2e, più del doppio della probabile cifra effettiva.
Sempre secondo il BEEST, la componente rinnovabile nel mining di Bitcoin sta crescendo a un ritmo del 6,2% all'anno.
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