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Fermata #141 - Un mare di bugie
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Fermata #141 - Un mare di bugie

Alex De Vries, instancabile critico di Bitcoin, scrive che un pagamento in Bitcoin consuma una piscina d'acqua e la macchina mediatica si attiva. Debunking e analisi di un settore agonizzante

Un commento che si fa passare per studio accademico e una pellicola, che abbiamo già visto decine di volte, si riavvolge facendo ripartire il film daccapo.

Alex de Vries, data scientist presso la banca centrale olandese (DNB), da anni pubblica critiche a Bitcoin che vengono regolarmente smontate - talvolta ridicolizzate - per l’incapacità di comparare dati accurati e raccogliere fonti affidabili.

Una sua caratteristica è quella di pubblicare sempre quelli che vengono definiti dei commenti. Il motivo è che, a differenza degli studi scientifici veri e propri, i commenti non devono essere revisionati per essere pubblicati. In breve: gli studi sono peer-reviewed, i commenti no.

L’ultima trovata è quella dell’impatto sull’acqua, affrontato da de Vries in un commento del 29 novembre intitolato La crescente impronta idrica di Bitcoin.

Di pari passo con la pubblicazione del commento è arrivata la valanga mediatica che, armata di titoli clickbait e ampi paragrafi pronti a prestarsi alla disinformazione, ha perfettamente messo in mostra il meccanismo dell’agenda setting, di cui ho parlato all’ultimo PlanB Forum di Lugano.

Il sito della BBC, in primis, ha subito allertato il mondo che “ogni pagamento in bitcoin utilizza una piscina d'acqua”. Alla fonte britannica si sono unite Euronews, The Verge, Tom’s Hardware, per citarne alcune in lingua inglese. Noi italiani dobbiamo però farci notare e quindi Agi ha deciso di spingersi oltre: “Un bitcoin può svuotare una piscina”.

Fonte: Agi

Gli errori

Il primo, macroscopico, errore è già nel titolo della BBC: “Ogni pagamento in bitcoin utilizza una piscina d'acqua”. Nel contesto di Bitcoin, un pagamento si riferisce a un trasferimento di valore tra due parti, mentre una transazione può includere molteplici pagamenti. L’apertura di un canale Lightning, per esempio, è una transazione on-chain che può implicare milioni di pagamenti off-chain. Il calcolo del consumo di risorse per transazione è dunque molto diverso da quello per pagamento.

Inoltre, lo stesso calcolo del consumo energetico per transazione - che rappresenta la base logica su cui si fonda l’intero commento - è insensato fin dalle premesse ed è stato smontato dall'Università di Cambridge già nel 2018. Come spiegato più volte in questa newsletter, il fabbisogno energetico di Bitcoin varia in base all’andamento del mining, mentre la dimensione dei blocchi che ospitano le transazioni resta immutata. In futuro, con la stessa quantità di transazioni supportate da Bitcoin, il consumo energetico sarà molto superiore.

Mettere in relazione il consumo energetico con le transazioni sulla blockchain di Bitcoin non ha alcun senso: le metriche sono del tutto scorrelate. Come fa notare l’investitore e ambientalista Daniel Batten su Twitter:

È come dire: "La Nuova Zelanda ha 100 miliardi di Pil e 20 milioni di pecore, quindi abbiamo 50.000 dollari di Pil per pecora".

Una volta che abbiamo una falsa metrica, possiamo fare ogni tipo di affermazione assurda, come: "Se raddoppiamo il numero di pecore, raddoppiamo il Pil".

Come se non bastasse, per raggiungere le proprie conclusioni de Vries non ha misurato la quantità d’acqua usata dal mining (per altro, come si dovrebbe mai misurare?) ma ha utilizzato una stima di quella impiegata dai generatori di elettricità.

Come si è potuti arrivare alla stima di 1.573.000 litri per il network Bitcoin? Paragonando il consumo di elettricità degli Stati Uniti in relazione all’impegno di risorse idriche. Esattamente come la metrica del “consumo per transazione” non ha alcuna base logica, lo stesso si può dire del “volume d'acqua per megawatt di potenza”. La tecnica è la stessa: si prendono due variabili non correlate e si divide una per l'altra per creare un dato desiderato. Il risultato è una cifra ottenuta dalla sovrapposizione di due misurazioni illogiche.

La magra figura dei media

L’assalto alla notizia ha fatto il resto. Dall’uscita dell’articolo della BBC, nel giro di poche ore decine di siti d’informazione riportavano come ogni transazione bitcoin consumasse l’equivalente di una piscina d’acqua, scatenando l’ilarità degli esperti.

In pochi hanno segnalato la professione di Alex de Vries e nessuno ha evidenziato che potrebbe costituire un conflitto d’interesse. Come può essere considerata equilibrata la posizione di un impiegato di una banca centrale, nei confronti di una tecnologia che rende obsolete le banche centrali?

Visibilità contrastanti

Pur non amando le dietrologie, fa riflettere scoprire che pochi giorni prima della pubblicazione del commento di de Vries sia stato scritto uno studio peer-reviewed dalla Cornell University, la cui tesi principale è che Bitcoin possa dare un impulso significativo alla transizione verso le fonti rinnovabili. Lo studio è stato ripreso da una sola testata: l’Independent.

Da una parte uno studio controllato, verificato e pubblicato da un’università, la cui tesi è raccolta da un solo giornale. Dall’altra un commento individuale, non verificato, di un dipendente di una banca centrale, che ha fatto il giro del Web.

La domanda sorge spontanea: è forse più remunerativo, in termini di click e visualizzazioni, attaccare Bitcoin per creare dibattito e indignazione? Oppure c’è una regia precisa dietro a un così accurato coordinamento mediatico? O si tratta invece di semplice sudditanza e reverenza nei confronti dell’autorità banca centrale?

Cambiare il modello dell’informazione

La risposta poco conta, perché l’implicazione è la stessa, in tutti e tre i casi: la parola fine a quel modello di giornalismo che ha contraddistinto un’epoca, quello basato su poche testate autorevoli a cui fare riferimento, di cui fidarsi. Il recinto di sicurezza rappresentato dal modello della grande azienda editoriale si sta trasformando sempre più in un recinto di disinformazione e di veicolazione di informazioni interessate: qualcuno potrebbe chiamarlo indottrinamento.

Non si tratta solo di Bitcoin: energia, politica, cultura, sport. La pochezza e l’approssimazione con cui viene trattato ogni tema di attualità sulle testate tradizionali non hanno rivali. Il modello giornalistico di domani è quello indipendente.

Perché così come avete in Bitcoin Train una fonte molto più affidabile di un grande giornale quando si parla di Bitcoin, già oggi esistono blog, canali YouTube, podcast e altre forme di contenuti indipendenti estremamente più ferrate sulla propria nicchia di competenza rispetto alla grande testata.

Bitcoin sta disintermediando il denaro per far sì che venga usato da chi ne ha davvero bisogno. Diamo un’altra chance a Internet e disintermediamo l’informazione, spostando la domanda dalle grandi aziende editoriali ai creatori di contenuti indipendenti.

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