Fermata #180 - Cresce il mining, non le emissioni
Nuovi dati sul mining e il caso studio di Marathon: mentre la potenza di calcolo sale, le emissioni restano stabili e l'efficienza decolla. Le rinnovabili protagoniste del paniere energetico
Il mining di Bitcoin è inevitabilmente destinato a crescere.
Con la diffusione della tecnologia e l’enorme quantità di energia non sfruttata ancora da intercettare, gli incentivi puntano tutti verso un aumento estremamente significativo dell’industria nei prossimi anni.
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Come molti di voi lettori ben sanno, l’incremento del mining implica inevitabilmente una crescita dell’hash rate, ossia la potenza computazionale espressa dal network. E a sua volta, con quest’ultima, è legittimo aspettarsi anche un aumento dell’energia utilizzata, anche se non perfettamente lineare per via dei progressi dell’efficienza di software e hardware specializzati nel tempo.
Quindi, no: il mining di Bitcoin non consumerà meno energia in futuro. Ne consumerà di più.
E questa è una buona notizia.
I nuovi dati sul mining
Anno Domini 2024: ancora oggi alcuni giornali puntano il dito contro il mining associandolo all’inquinamento e dipingendolo come una piaga per l’ambiente. Il New York Times ne è un esempio lampante.
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Cresce il mining, emissioni stabili
I dati più recenti smentiscono questa narrativa. Nonostante l’halving, avvenuto lo scorso aprile, la potenza di calcolo coinvolta nella rete è in continua crescita, ma le emissioni di CO2e associate alla produzione di elettricità utilizzata per alimentare gli ASIC (i server specializzati nel mining, nda) restano stabili.
A mostrarlo è Daniel Batten con il suo modello di studio BEEST (Bitcoin Energy & Emissions Sustainability Tracker)1.
Dai numeri si nota una correlazione molto interessante: a partire da metà 2021, proprio quando ha iniziato a diffondersi il mining che mitiga gas flaring e gas venting2, soprattutto negli Stati Uniti, il rapporto tra hash rate ed emissioni associate alla produzione dell’elettricità utilizzata dal network ha iniziato a invertirsi.
Dal 2021 a oggi, al crescere della potenza computazionale coinvolta nel mining di Bitcoin, le emissioni a essa associate non aumentano. Le ragioni sono tre:
La maggior efficienza di hardware e software specializzati;
La crescita delle fonti rinnovabili nel paniere energetico della produzione di corrente per i miner;
L’aumento del mining che mitiga gas venting e gas flaring.
Cosa dicono i dati riguardo alle emissioni associate alla produzione di ogni KWh impiegato dal mining?
Dagli oltre 500g di CO2 per KWh di tre anni fa, oggi la produzione di corrente elettrica destinata al mining genera meno di 240g di CO2 per KWh. Meno della metà. Contemporaneamente, l’hash rate complessivo è passato da 145 Exahash (1,45x1020) a 595 Exahash (5,95x1020).
Più rinnovabili nel paniere energetico dei miner
A metà 2021 il 37% della corrente destinata al mining veniva prodotto utilizzando fonti rinnovabili. All’epoca gli articoli sulla quantità di elettricità utilizzata dai miner erano frequenti e l’attacco mediatico sul fronte ambientale molto efficace. La percezione del grande pubblico era che Bitcoin fosse un problema per l’ambiente.
Tre anni più tardi quella percentuale è salita al 55,8%. Oggi più della metà della potenza computazionale è alimentata da fonti green e, come già spiegato in numerosi articoli di questa newsletter, non si tornerà indietro: la strada è segnata e gli incentivi economici puntano diretti alla crescita ulteriore del dato. I miner cercano energia a basso costo e l’energia più a buon mercato è quella rinnovabile non sfruttata da grandi industrie e centri abitati.
Flaring e venting, una tendenza in crescita
La riprova dei dati sopracitati arriva proprio dell’andamento del settore più giovane del mining: quello legato alla mitigazione delle emissioni di CO2e tramite il riutilizzo del gas naturale e del metano di scarto negli impianti petroliferi e nelle discariche. Questo caso d’utilizzo è senza dubbio quello che impatterà più marcatamente la transizione del mining verso lo status di carbon negative.
Da quando è stata applicata per la prima volta nel 2021 da Crusoe Energy, in soli tre anni questa modalità di raccogliere elettricità per alimentare gli ASIC è arrivata a mitigare il 7,5% delle emissioni legate alla produzione di corrente per l’intera industria globale del mining.
Per darvi un’idea di quanto sia in espansione questo mercato, la sola Crusoe Energy, pioniera del settore, ha raccolto nel 2022 oltre $500 milioni.
Marathon si cimenta nella mitigazione del gas venting
A dare il proprio contributo sul tema del gas venting è stata negli ultimi giorni anche una delle più note mining pool statunitensi: Marathon Digital Holdings.
Il report pubblicato da Marathon e Nodal Power lo scorso 12 giugno descrive un progetto pilota che ha trasformato il metano di una discarica in elettricità per alimentare una mining farm, dimostrando sia la fattibilità economica sia i benefici ambientali di tale approccio.
Il progetto, avviato il 27 settembre 2023 nello Utah, ha una capacità di 270 kW e utilizza 83 ASIC S19J Pro per un hash rate di 8,3 PH/s. L’impianto ha funzionato per oltre 240 giorni, dimostrando un'alta affidabilità e un uptime operativo del 96,8%.
Durante i 240 giorni sono stati utilizzati circa 455.900 metri cubi di metano, evitando il rilascio di 27.624 tonnellate di CO2e (comparabile alla rimozione 6.627 auto a benzina dalla strada per un anno). Questo ha dimostrato un'efficienza di mitigazione del 100% rispetto al 92% della combustione in torcia - ovvero il gas flaring - riducendo quindi le emissioni associate al metano.
L'uso di un motore a combustione interna per convertire il metano in elettricità ha mostrato un'efficienza di conversione del 34%, superiore rispetto agli impianti a carbone e nucleari esistenti. Il costo dell'elettricità generata è stato di $0.03 per KWh, molto inferiore alla media industriale di $0.08 per KWh.
La discarica ha letteralmente generato entrate da una risorsa altrimenti non utilizzabile. Benvenuti nel futuro del mining.