Fermata #8 - Lo shock dell'offerta colpisce anche Bitcoin
La carenza di materie prime mette in difficoltà la produzione dei chip ASIC specializzati nel mining, settore già criticato perché monopolizzato dal colosso Bitmain. Quali conseguenze aspettarsi?
Crisi dell’offerta generalizzata
La ripresa economica post-pandemica ha portato a una crisi dell’offerta che ha colpito un’ampia fetta del mercato globale e, più in particolare, i settori dell’energia e delle materie prime: rame, ferro, acciaio, mais, caffè, frumento e soia, ma anche legname, semiconduttori, plastica e carta. Materiali con disponibilità limitata, che hanno subito rincari dal 10% fino al 70%.
A risentirne maggiormente è la produzione di tutti quei beni che fanno forte affidamento sui materiali che scarseggiano: evidentemente il paniere è sconfinato.
Le cause: pandemia e banche centrali
Da un lato il fattore più evidente che ha portato allo shortage è quello della difficile ripresa della produzione. Durante la pandemia tantissime aziende in tutto il mondo hanno chiuso i battenti e rimettere insieme macchinari e catene di montaggio, in alcuni ambiti, non è immediato come riaprire la serranda di un negozio. Molti si sono fatti trovare impreparati, altri hanno dovuto riavviare faticosamente (e costosamente) gli impianti, altri ancora non hanno più riaperto.
Ma se l’offerta è calata, la domanda è rimasta costante. La massiccia iniezione di liquidità delle banche centrali iniziata con la pandemia e tuttora in corso - solo questa settimana la Fed1 ha annunciato un lieve rallentamento dell’acquisto di titoli - sta portando i paesi a spingere la ripresa economica con grandi investimenti, che implicano una forte domanda anche di materie prime.
Forse non è un caso che la Cina, in evidente crisi energetica, stia investendo nella costruzione di 43 centrali a carbone (già, forse Greta Thunberg dovrebbe girare più in Oriente che in Europa, ma questa è una polemica personale).
Tech e microchip
I microchip, contenuti ormai in moltissimi beni che ci circondano, sono tra i prodotti più introvabili. Il colosso Tsmc, leader mondiale del settore, ha pianificato di aumentare i prezzi fra il 10% e il 20% tra fine 2021 e inizio 2022: fattori come questo stanno avendo la conseguenza di far crescere i listini di tutti i beni con componenti elettroniche e il ricorso in massa al lavoro da remoto - con il conseguente aumento esponenziale della domanda di monitor, pc e similari - non aiuta di certo.
A soffrire, però, non sono solamente i produttori di smartphone e computer. Stellantis e Volkswagen, per esempio, hanno già ridotto la produzione di automobili proprio perché prive di sufficienti microchip. In generale, l’industria globale dell’auto potrebbe perdere 210 miliardi di dollari di ricavi e la crisi non accenna a rientrare: Intel, Nvidia e AMD concordano che lo shortage di chip durerà almeno un altro anno.
Bitcoin e mining
Bitcoin non è certo esente da questa crisi dell’offerta. Il suo valore non ne ha risentito - il prezzo negli ultimi giorni è tornato a toccare il massimo storico - ma il mining2 è colpito eccome perché mancano i chip ultra-specializzati - chiamati ASIC - prodotti esclusivamente per questa attività.
In una ricerca di Luxor - mining pool3 che coordina circa lo 0,9% dell’Hash Rate del network (il cui concetto è spiegato nella fermata #3) - è stato riportato che il prezzo degli ASIC più efficienti (ovvero quelli in grado di processare più operazioni consumando meno energia) è aumentato di oltre il 25% nel terzo trimestre del 2021, mentre le macchine meno efficienti costano il 30% in più.
Una possibile conseguenza: minor crescita della sicurezza della rete Bitcoin
L’aumento dei prezzi degli ASIC non dovrebbe portare a drammatiche conseguenze per il network. Tuttavia, un effetto potrebbe esserci e per comprenderlo serve fare un passo indietro.
La crescita della sicurezza del network Bitcoin si basa su un concetto: più si estende l’attività di mining a livello globale, più energia viene utilizzata, più risulta difficile attaccare Bitcoin: l’unico modo per hackerare4 la rete, infatti, è controllarne la maggioranza (già oggi una simile eventualità appartiene quasi alla fantascienza), per cui con il suo espandersi sarà sempre più complesso riuscire a gestirne il 51%.
L’Hash Rate globale (la capacità computazionale complessiva del network che, intuitivamente, aumenta e diminuisce a seconda dell’andamento dell’attività di mining), è considerato quindi il dato principale per misurare la sicurezza della rete.
Storicamente l’Hash Rate è correlato al prezzo di bitcoin e quello che potrebbe accadere con una minor diffusione degli ASIC è che la sicurezza della rete non aumenti proporzionalmente al prezzo di bitcoin (che è caratterizzato da stime rialziste per i prossimi mesi) come già fatto in passato.
Un settore già criticato: il monopolio di Bitmain
Quello dell’offerta, comunque, non è il primo problema degli ASIC, il cui settore è da anni nel mirino di coloro che vorrebbero (ragionevolmente, a mio parere) una decentralizzazione pura. La produzione dei chip specializzati, infatti, è affar di Bitmain, colosso cinese che ne controlla quasi il 90% del mercato primario (c’è anche un florido mercato per gli hardware di seconda mano).
Che fragilità comporta una tale centralizzazione? Bitmain è cinese e dopo il mining ban nazionale sposterà altrove la produzione, ma se un governo come quello di Pechino volesse imporre di modificare i chip implementando, per esempio, sistemi di sorveglianza, se ne accorgerebbe qualcuno? E nel caso lo farebbe in tempo? Il pericolo, va detto, non sembra imminente ma nella comunità Bitcoin ogni punto di debolezza viene affrontato con estrema serietà e anche questo problema dovrà essere risolto.
L’arrivo di Blockstream
Forse un barlume di speranza lo offre Blockstream, gigante di Bitcoin (che, tra le altre cose, con i suoi prodotti permette di effettuare transazioni nel network con una connessione satellitare, anche senza Internet) co-fondato e guidato da Adam Back, nientemeno che l’inventore di Hashcash, ovvero il sistema che ha ispirato Satoshi Nakamoto nella creazione dell’algoritmo di proof-of-work tuttora vigente in Bitcoin (e spiegato nella fermata #1).
Blockstream ha deciso di entrare nel business della produzione di ASIC e in agosto ha raccolto 210 milioni di dollari per acquisire Spondoolies, produttore israeliano di chip specializzati. Le dimensioni dell’azienda guidata da Adam Back fanno credere che la concorrenza con Bitmain non mancherà.
La società ha anche annunciato il lancio di Modular Mining Unit (Mmu), ossia hardware per l’attività di mining controllabile da remoto e che permette di aggiornare singole componenti del prodotto. In sostanza, a differenza delle macchine contemporanee, che in media dopo tre anni diventano obsolete e vanno completamente sostituite, le Mmu permetterebbero al miner di cambiare piccole parti dell’hardware senza dover acquistare intere nuove macchine e risparmiando così denaro. La speranza del mercato è che l’idea porti a una vera concorrenza tra Blockstream e Bitmain, con magari l’ingresso di nuovi attori in futuro.
Fed: Banca centrale statunitense
Mining: attività di verifica delle transazioni e di emissione di nuovi bitcoin che richiede macchine specializzate dall’ampia capacità computazionale.
Mining pool: azienda che coordina miner privati sparsi in tutto il mondo, unendo la capacità computazionale di tutti i partecipanti per competere nella corsa globale alla scrittura dei blocchi della blockchain.
Con hackerare si intende la possibilità di far approvare transazioni malevole dal resto del network. Per esempio, inviando bitcoin che non si possiedono a un indirizzo che si gestisce, per arricchirsi e dimostrare al mondo che il network è corruttibile. In un simile scenario (mai verificatosi e che più passa il tempo più diventa inverosimile) la fiducia in Bitcoin crollerebbe e con lei anche il valore del token.